Se io vinco non è necessario che tu perda

Il conflitto è espressione di divergenza di interessi, valori, priorità, obiettivi, tra individui o gruppi.

Il conflitto è un’esperienza universale dell’essere umano e della società: a variare nel tempo e nello spazio sono le modalità in cui gli esseri umani e società agiscono e gestiscono questo fenomeno. Le differenti forme di violenza e la guerra sono esempi di modalità distruttive di gestione del conflitto.

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È importante capire che il conflitto ha due dimensioni: quella cognitiva, data dal problema in discussione, e quella emotiva, data dalla relazione tra le persone coinvolte.

Sebbene un certo grado di conflitto sia fisiologico per cui non eliminabile, riconoscerlo e accettarlo non è facile, in quanto nel conflitto è sempre insito il rischio di rottura della relazione, per questa ragione a volte si tende a evitarlo. L’evitamento però è rischioso: non occuparsi di un problema non solo non lo risolve ma tende ad aggravarlo.

Gestire il conflitto significa averne preso atto e agire comportamenti che facilitino l’individuazione di soluzioni accettabili (o , al meglio, soddisfacenti), per tutte le parti coinvolte.

Esistono varie modalità consolidate per affrontare i conflitti: le tradizioni, i regolamenti, le gerarchie, il diritto, le leggi di mercato, le negoziazioni, le guerre.

Cosa possiamo fare in caso di conflitto?

Nella nostra società è prevalente l’orientamento per cui, in presenza di conflitti di valori o idee, necessariamente uno debba perdere e l’altro vincere. Se le parti interessate del conflitto hanno interessi completamente opposti, il gioco è “a somma Zero”, in cui se una delle due parti vince, l’altra necessariamente perde.  I giochi a somma zero tuttavia sono molto meno frequenti di quanto si pensi, e qui entra in gioco la negoziazione.

Abbiamo detto che nel conflitto, oltre all’aspetto cognitivo è presente necessariamente anche l’aspetto relazionale. Questo significa che entrano in gioco nella gestione del conflitto le nostre emozioni. Rendiamoci conto che quando siamo in preda alle emozioni  è difficilissimo essere obiettivi.

Viviamo la nostra emozione e cerchiamo di consapevolizzarla. “Che cosa sto vivendo? Quale emozione mi provoca questa situazione?”. Evitiamo  di reagire sotto l’effetto dell’emozione. Si può dire “Questa cosa mi fa star male” ma, se pensiamo di non poter gestire la reazione, allontaniamoci.

A mente fredda riconsideriamo l’accaduto:  “Perché questa cosa mi ha così ferito/a? Che cosa va a toccare in me?”, “Se mi da così fastidio è forse una proiezione?”

Assicuriamoci di avere capito bene quello che sta succedendo o quello che è stato detto.   “Scusami, ma non vorrei interpretare in modo sbagliato”, “Quando hai detto… intendevi…?” – “ Con questo comportamento intendevi …questo?”

Ricordiamoci della relazione che abbiamo con la persona con cui abbiamo il conflitto: se fino a quel momento la consideravamo degna di stima, o di affetto, quel conflitto ci fa cambiare idea sulla totalità della persona? Occorre separare quindi la persona dal problema. “È così grave?” “Vale la pena di mettere a repentaglio la relazione per quello che è successo?” Non si tratta di sopportare! Ma di ridimensionare e riconsiderare una nostra percezione che può essere esasperata  o frutto di vecchie ferite.

Cerchiamo di metterci al posto dell’altro e di capire ciò che può avere motivato il suo comportamento. Cerchiamo di capire se abbiamo interpretato secondo la nostra percezione un comportamento altrimenti neutro. Ascoltiamo quindi il punto di vista dell’altro evitando di attribuire colpe o fare morali.

Focalizziamo l’attenzione sull’interesse e non sulle posizioni. Elaboriamo quindi il maggior numero di soluzioni possibili: ricerchiamo le soluzioni ai problemi che siano soddisfacenti per tutti i soggetti, in modo che non vi sia necessariamente un perdente e un vincitore.


foto di Sara  Fresu

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