Sulle Donne e il Linguaggio

“Avete idea di quanti libri si scrivono sulle donne in un anno? Avete idea di quanti sono scritti da uomini? Sapete di essere l’animale forse più discusso dell’universo?”

Virginia Woolf – Una stanza tutta per sé, 1929

Le cose non sono molto cambiate da quando Virginia Woolf scrisse queste parole. Uno specifico pensiero delle donne sulla tematica delle donne si è affermato in maniera netta e crescente solo a partire dagli anni Sessanta . Prima di allora solo pensatrici isolate, emarginate, che non sono riuscite a creare una scuola di pensiero con continuità a causa della prevalente tradizione maschile, ma hanno iniziato a segnare dei solchi su cui stiamo continuando a tracciare la nostra strada. Possiamo citare, prima ancora della Woolf, Mary Wollstonecraft e il suo libro “Rivendicazione dei diritti della Donna“, 1792, o dopo di lei Simone de Beauvoir (“Il secondo sesso” 1949, in cui la filosofa scrive un’intera ricostruzione delle condizioni della donna dalla preistoria al Novecento).

La donna è a tutti gli effetti la prima minoranza al mondo. Nonostante sia numericamente superiore all’uomo, la parità dei diritti è ancora ben lontana in ogni parte del mondo. L’uomo, anche il più “illuminato”, fa comunque parte di un sistema che non ha alcun interesse a capovolgere, dato che ne detiene il potere.

G. Maldini, “Satira Femminista”, disegno, Milano, 1978

Sulle Pari Opportunità l’Italia è tra gli ultimi Paesi in graduatoria rispetto all’Europa, per occupazione, livelli retributivi e condizione di lavoro; il welfare italiano grava pesantemente sulla componente femminile investita del duplice ruolo di lavoratrice e curatrice familiare.

Siamo cresciute con l’etichetta di angelo del focolare. Ciò implica nella maggior parte dei casi che anche se in una famiglia marito e moglie lavorano fuori casa per lo stesso numero di ore, il marito tipicamente rientra a casa e si siede sul divano, la moglie fa tutto il resto: prepara la cena, si occupa della casa e dei figli, spesso anche degli anziani genitori. Doppio lavoro, e neppure retribuito. E anche se l’uomo facesse la sua parte nelle faccende domestiche, noi donne diciamo “mi aiuta in casa”. Che vuol dire “mi aiuta”? Vive in casa con me o è un ospite? Le parole sono importanti, le parole creano la realtà.

Lo scoglio più grande da superare è proprio il maschilismo inconsapevole appreso fin dalla nascita da noi donne stesse. Quante volte abbiamo sentito di una donna che riceve un complimento perché ha cambiato un pannolino? Eppure se lo fa un uomo tutti si sperticano in “che bravo papà…” come se i figli non si facessero in due. E questo è solo il più banale degli esempi.

Quando non esisteranno più insulti come “maschiaccio” detto a una bambina o “femminuccia” ad un bambino, quando inizieremo a cambiare il nostro modo di esprimerci, il cambiamento potrà avvenire anche nella società. Il linguaggio non è mai neutro, bisogna studiare i caratteri di non neutralità per scovare in esso alcune radici del predominio maschilista nella società e nella cultura.

Le donne di successo sanno fin troppo bene che in ogni professione a maggioranza maschile, si trovano in una condizione di netto svantaggio. Sono abitualmente sottostimate, coinvolte in mansioni banali rispetto alla loro preparazione e, come sappiamo, pagate meno rispetto ai colleghi maschi. Molti studi hanno dimostrato che una donna deve “performare” ad altissimi livelli solo per sembrare moderatamente competente, soprattutto se comparata con gli uomini. Spesso per arrivare a sfondare il cosiddetto “soffitto di cristallo” le donne imparano a giocare le partite degli uomini, adattandosi a regole del gioco che non sono state scritte per loro. Il maschilismo delle donne contro le altre donne è la battaglia da affrontare e sconfiggere. Il maschilismo delle donne è subdolo perché inconsapevole.

Facciamo il gioco dell’uomo ogni qual volta giudichiamo un’altra donna per il suo aspetto fisico, per le sue scelte professionali e personali. Si chiama “sindrome dell’Ape Regina” quell’atteggiamento delle donne arrivate a un certo grado di successo che ostacolano le altre donne nell’intento di difendere il proprio predominio. Si tratta di una “sindrome” osservata da un gruppo di ricercatori dell’università del Michigan (Stati Uniti) negli anni 70. Tutt’oggi ancora discussa, connotata, secondo studi recenti, anche dai tratti del bullismo: se il capo è donna rivolge le ostilità quasi esclusivamente verso dipendenti dello stesso genere, se è uomo si rifà su entrambi i sessi. Le donne, in questo senso, risultano più sessiste dei maschi.

Navigando in rete ho trovato un interessante articolo di Michela Murgia che ha espresso esattamente il mio sentire riguardo alla considerazione che viene data alle donne in tutti i settori. A titolo di esempio, l’Oxford Anthology of English Literature non menziona neppure con uno stringato paragrafo il nome di Virginia Woolf.

La donna non si autorappresenta nel linguaggio, ma accoglie con questo le rappresentazioni di lei prodotte dall’uomo.

“Questa storia ha il suo più potente baluardo proprio nella pretesa neutralità del pensiero: un pensiero oggettivo, universale che, come tale, non escluderebbe nessuno, anzi, includerebbe gli uni e le altre indifferentemente nella sua verità. Svelare la falsa neutralità di tale pensiero e la sua valenza di estraniazione della donna, è allora il primo passo necessario verso un pensiero che contempli la donna come soggetto, e precisamente come soggetto pensantesi. Se dunque è impossibile per la donna, come per qualsiasi altro parlante, uscire con un atto di volontà dal proprio linguaggio, è però per lei possibile dire attraverso di esso la sua estraneità ad esso.”

Adriana Cavarero, “Diotima. Il pensiero della differenza sessuale”, La Tartaruga, Milano 1987.

Troviamo il modo di costruire il nostro linguaggio per costruire il nostro pensiero.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.