Sulle donne e l’educazione alla mentalità vincente

Statisticamente la depressione colpisce molte più donne che uomini. Secondo Martin Seligman (“Imparare l’ottimismo”) questo fatto deriva da ciò che lui ha chiamato impotenza appresa.  L’impotenza si apprende quando si sperimentano situazioni negative che non possono essere controllate o migliorate nonostante gli sforzi. Nella nostra società le donne esperiscono l’impotenza molte volte nella vita. I ragazzi vengono incitati all’azione, le ragazze alla passività e alla dipendenza. In età adulta, le donne si ritrovano in una cultura che deprezza il ruolo di moglie e di madre. Se una donna si rivolge al mondo del lavoro, si rende conto che ai suoi successi viene dato meno credito che a quelli degli uomini.

Le donne giudicano le loro stesse capacità non solo più duramente, ma in modo differente, da come fanno gli uomini.
Carol Dweck (autrice di “Mindset: cambiare forma mentis per raggiungere il successo“) ha condotto una serie di studi negli anni 80, per indagare le differenze tra studenti e studentesse alle prese con problemi nuovi, confusi e complicati.

Carol Dweck scoprì che le ragazze intelligenti, quando veniva dato loro qualcosa da imparare di particolarmente estraneo e complesso rinunciavano velocemente e più alto era il loro Q.I., prima gettavano la spugna. I ragazzi al contrario, affrontavano il nuovo compito come una sfida, erano invogliati a raddoppiare gli sforzi anziché abbandonare. Studenti e studentesse affrontavano le difficoltà con convinzioni diverse.

La convinzione implicita o esplicita che ogni individuo ha in merito alle proprie capacità  — che esse siano innate o, al contrario, la convinzione che siano acquisite — è sufficiente a condizionare in modo decisivo il suo comportamento, le sue performance, la sua vita. Nel primo caso, si parla di fixed mindset (mentalità statica), nel secondo caso di growth mindset (mentalità dinamica).

Perché ragazze e ragazzi sviluppano queste differenti credenze? Probabilmente ha a che fare con i feedback che i genitori e insegnanti danno loro da piccoli.

Le bambine sviluppano prima dei bambini la capacità di seguire le istruzioni degli insegnanti, e vengono per questo etichettate come “intelligenti”. Quando andiamo bene a scuola ci sentiamo elogiare con aggettivi quali “intelligente”, “brillante”, e via dicendo. Questo genere di complimenti implica che l’intelligenza, la sagacia e la bravura come studente siano tratti che possiedi oppure no (sviluppano quindi più facilmente una mentalità statica).

I maschietti hanno più difficoltà con la disciplina. Di conseguenza, i maschi ricevono molti più feedback che enfatizzano lo sforzo. Ad esempio, “solo prestando attenzione puoi imparare questo”, “se ti impegni di più puoi capire la soluzione del problema” eccetera. Sviluppano quindi più facilmente una “mentalità dinamica”.

Il risultato: quando una ragazza da sempre etichettata come intelligente si ritrova davanti a un compito molto difficile che non riesce a sbrogliare mette in discussione tutta se stessa, mentre il ragazzo nella stessa situazione interpreta la difficoltà come un segnale per prestare più attenzione o impegnarsi di più.

Sono convinzioni che ci si trascina dentro a livello inconsapevole. In realtà non importa quale sia l’abilità – intelligenza, creatività, autocontrollo, fascino, prestanza fisica – gli studi dimostrano che sono tutte profondamente malleabili. Ciò che siamo e quello che otteniamo non è solo frutto delle nostre abilità innate, ma soprattutto del modo in cui ci approcciamo ai nostri obiettivi. L’intelligenza, le qualità e le attitudini, gli interessi e la stessa forma mentis con cui vediamo noi e il mondo possono essere modificati col tempo e con l’impegno.

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