Le ferite del cuore

Le ferite del cuore

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Dalla nascita, ogni cellula del corpo umano è intelligente e “programmata” per essere ciò che è, in ogni condizione possibile. I neonati seguono i propri istinti per soddisfare i bisogni primari. Progressivamente, nello sviluppo il bambino impara a impiegare il linguaggio, a usare dei simboli per comunicare, in quanto un adulto si prende cura di lui.

Ma oltre al linguaggio, gli adulti insegnano quello che sanno, trasmettono le loro conoscenze, comprese le regole sociali, religiose e morali della cultura in cui vivono.

Poiché il bambino per sopravvivere ha necessità che un adulto si prenda cura di lui, impara ad attuare tecniche di sopravvivenza finalizzate al ricevere l’amore di cui ha bisogno per crescere.

Durante le varie esperienze in cui il bambino percepisce una qualche minaccia per la sopravvivenza e prova una particolare sofferenza psichica ed emozionale, viene registrata nel suo inconscio una “ferita emozionale”. La diversa modalità con cui tale sofferenza viene percepita, dà luogo ad una specifica ferita emozionale:

Rifiuto, abbandono, umiliazione, tradimento, ingiustizia, sono le cinque ferite procurate dalle persone più vicine in modo inconsapevole; molto spesso loro stesse sono state oggetto di questa dinamica a loro tempo nell’infanzia, ma non avendola vista e modificata, la ripropongono automaticamente senza saperlo. Ogni ferita, a sua volta, è all’origine di un particolare meccanismo comportamentale di protezione, istintivo e automatico, che ha lo scopo di evitare di rivivere quella stessa sofferenza e che si attiva, durante tutta la nostra vita, ogni qual volta accade un evento che percepiamo e interpretiamo con un significato analogo a quello delle prime registrazioni[1].

Queste tecniche di sopravvivenza, seppur utili nel breve periodo a proteggere dal dolore, diventano una maschera che limita la persona nella sua crescita: questi comportamenti infatti si depositano nella mente inconscia, e l’individuo crede di dover essere in un modo piuttosto che in un altro, negando la sua unicità a favore dell’accettazione sociale, non maturando neppure la consapevolezza del motivo del proprio disagio.

Queste “ferite emozionali” del bambino fanno parte integrante della crescita, sono un retaggio impossibile da eliminare totalmente, persino nelle famiglie più funzionali. Ognuno di noi di conseguenza porta con sé le sue ferite, i suoi traumi, e nella maggior parte dei casi non ha consapevolezza degli irretimenti di cui è vittima.

Il trauma quindi è una parte naturale della vita: anche se non ne comprendiamo il senso, il trauma appartiene allo sviluppo umano: gli stessi sistemi psicofisiologici che governano lo stato traumatico mediano anche i sentimenti essenziali del benessere e dell’appartenenza. Un trauma da noi vissuto ci sfida e ci riporta nei nostri limiti. Se ne guariamo allarghiamo i nostri confini.

Il trauma non consiste nel fatto doloroso in sé, ma nel bloccarsi nelle proprie risposte primitive agli eventi dolorosi, quello che Bert Hellinger definisce “un interrotto movimento-verso”[2]. Il trauma si produce nel momento in cui non siamo in grado di liberare le energie bloccate, di attraversare, una dopo l’altra, tutte le reazioni fisico-emotive dell’esperienza che ci ha ferito. Il trauma non è quello che ci accade, ma quello che tratteniamo dentro, in assenza di un testimone empatico.

Guariamo se ci curiamo di noi stessi e se gli altri si prendono cura di noi[3].


[1] Bourbeau, L. “Le cinque ferite e come guarirle” Amrita Edizioni.

[2] Ulsamer, B. “Ferite della vita” Messaggero di Sant’Antonio Editore 2008, pag. 45.

[3] Ibidem, pag. 70.

foto di Sara Fresu

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