Capelli

“Vivo sempre insieme ai miei capelli…”

Ricordate la canzone di Nicolò Fabi? Quando uscì mi sembrava una semplice canzonetta orecchiabile, ma contiene una grande verità.

Il Destino mi ha donato una meravigliosa e impegnativa chioma riccia.

Mia madre però, che in testa aveva una lucente massa di capelli che parevano filo a piombo, non ha mai capito come gestirla.

Mi pettinava con la spazzola di setola, cercava di districarmi i nodi col pettine a denti stretti, sollecitava all’inverosimile il mio povero cuoio capelluto in improbabili codini stretti stretti accompagnati da trecento milioni di fermaciuffi per cercare di domare i miei ricci che qua e là si ribellavano al suo volere. Il mal di testa era il mio compagno quotidiano.

Il mio sogno era di farli crescere, ma i capelli lunghi erano sicuramente troppo impegnativi per la pazienza di mia madre, così mi rassegnai ad un taglio da maschietto fatto dal barbiere di mio papà. La cosa aveva i suoi lati positivi: al contrario della parrucchiera di mia mamma, da cui si doveva stare tra i nauseanti odori di tinte chimiche e lacche per capelli, sedute composte, anche per ore, in attesa del proprio turno, dal barbiere di papà erano tutti gentili con me, potevo giocare col cavallino da giostra che in realtà era il sedile per il taglio dei capelli dei bambini, e alla fine rimediavo sempre qualche caramella.

Iniziai a ribellarmi alla dittatura del capello corto quando entrai alle scuole medie. Mia madre mi disse “fai quello che vuoi, basta che tu sia ordinata quando vai a scuola”.

“Ordinata” era un parolone. I capelli che iniziavano ad allungare erano una sorta di cespuglio in stile Branduardi, una tremenda e sconcia nuvola di crespo.

Così iniziai a frequentare l’unica merceria/profumeria/articoli-da-regalo/varie-ed-eventuali che c’era in paese, valutando attentamente ogni articolo per capelli potesse fare al caso mio.

Risolsi il problema della crescita con due (sì, due, perché uno non era sufficiente) fermacapelli a banana che mi salvarono dall’implacabile giudizio di mia madre per tutto il periodo di interregno tra l’ingestibile capello corto e una lunghezza tale da poter eventualmente fare una coda di cavallo nel momento in cui il mio capello si ribellava alla disciplina imposta.

La parrucchiera di paese era ferma al taglio scalato anni Ottanta, per cui se da un lato il mio stile preadolescenziale era decisamente un po’ vintage, pur tuttavia i ricci erano sicuramente un punto di forza. Lo stesso taglio su mia sorella maggiore, l’unica erede del liscio aplomb di mamma, aveva un esilarante effetto “mocio vileda” che in combo con l’apparecchio per i denti a tutt’oggi ispira goliardiche prese in giro e ha provocato la sparizione di qualunque fotografia dell’epoca (Lei non lo sa, ma qualche reperto ben nascosto per futuri ricatti ce l’ho ben conservato).

Arrivarono gli anni Novanta. Essere adolescente negli anni Novanta tricologicamente parlando significava seguire due correnti di pensiero: lo stile “Ambra” di Non è la RAI, e il famigerato “taglio alla Rachel”, la protagonista della famosa serie Friends.

La prima ipotesi mi calzava a pennello, quel riccio morbido alle spalle era esattamente il mio, e della combinazione stivaletti/minigonna scozzese/camicia bianca/cravatta dalle improbabili decorazioni feci per un po’ la mia divisa da sedicenne.

Il grande difetto dell’adolescente media è però quello di volersi uniformare al gruppo di pari, adeguandosi a mode che non necessariamente ci rendono giustizia.

E le mie amiche erano tutte così dannatamente lisce che hanno adottato in massa il taglio alla Rachel.

Potevo far diversamente?

Ovviamente no. Il che portò al mio primo approccio semiprofessionale con la piega a spazzola. Acquistai dal parrucchiere, dopo una meticolosa lezione su come procedere all’asciugatura casalinga, una spazzola di metallo da usare in combinazione con il phon super potente che mi donò per anni a venire una invidiabile e lucente chioma liscia, proprio come quella della mamma! Che meraviglia!

E che fatica! Avete idea di come tenere quella maledetta frangia obliqua quando fate il bagno a mare? Ovviamente il Branduardi che c’era in me ritornava prepotente…

Passavano gli anni, nella convinzione che per qualunque occasione poco più che informale, un esame universitario, un matrimonio, una serata in discoteca, dovessi necessariamente torturare la mia chioma inappropriata con spazzola e piastra per capelli.

Quando iniziai a lavorare poi fu anche peggio. In ufficio era d’obbligo il tailleur abbinato a quelle deliziose scarpe con tacco a stiletto, i miei capelli non potevano certo essere da meno! E calcolando che con l’aria mefitica di Milano dovevo lavare i capelli ogni giorno, quotidianamente provvedevo a piastrarli per tenerli in ordine.

C’era sempre una vaga insoddisfazione di fondo. Un senso di inadeguatezza. I miei capelli erano “sbagliati…” io ero “sbagliata”!

È un fatto ormai ampiamente studiato che il rapporto con la propria madre influenzi qualunque rapporto il bambino prima, e di conseguenza l’adulto poi, impari ad instaurare negli anni a venire.

Ho impiegato quaranta anni della mia vita ad accettare di vedere me stessa così come realmente sono, con una impegnativa, ingombrante e meravigliosamente attraente testa di ricci scuri e fitti. E a chi questa testa non sta bene, rispondo che è la mia, e ci faccio ciò che voglio.

Certo, ancora i parrucchieri risentono delle mode del momento, ed è dannatamente difficile trovarne uno che abbia la pazienza di imparare a gestirli con un taglio appropriato, ma soprattutto con una asciugatura lenta e non traumatica per assecondare la loro natura e evitare la formazione del crespo facendo uscire dal proprio salone noi ricce nella versione glamour di Branduardi.

Per cui, per evitare qualsiasi mal di testa e sapendo che dopo uno shampoo i miei ricci torneranno a splendere, ogni volta che vado a farmi i capelli, alla fatidica domanda “come li asciughiamo?” rispondo con il classico “fammi una piega liscia morbida con la spazzola”.

La mia rivincita più grande è stata quando mia mamma, vedendomi dal balcone mentre rientravo dal salone ha esclamato “comunque ti preferisco riccia!”

 

 

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