La parabola dei talenti

Che tu creda o no nel Dio della Bibbia, in ogni caso converrai con me che all’interno di quel Libro ci sono un sacco di storie interessanti. Una delle storie che mi fa riflettere è conosciuta come la Parabola dei Talenti.

parabola dei talenti

La parola “Talento” indicava in origine una unità di misura, indicava il peso e veniva usato nel commercio per misurare i metalli preziosi: era quindi una moneta di scambio.

La storia narra di un Uomo che, dovendo partire per un viaggio, chiama a sé i suoi tre Servitori, e consegna loro i suoi beni, a ciascuno, narra la Bibbia,  “secondo le sue capacità”.

L’uomo consegna quindi al primo cinque talenti, al secondo due, e al terzo un talento.

In tutti e tre egli ha riposto la sua fiducia. Spetta dunque ai servi non tradire la fiducia del padrone e operare una sapiente gestione dei beni, che non sono di loro proprietà ma del padrone, il quale al suo ritorno darà loro una ricompensa.

Una volta partito, i primi due servitori decidono di investire i talenti ricevuti, ciascuno di essi ottenendo il doppio di quanto consegnatogli: il primo servitore guadagna cinque talenti, il secondo due.

Il terzo servitore fa una scelta più prudente: scava una buca nel terreno e vi nasconde il suo talento, in attesa che il suo Signore torni.

Dopo molto tempo il Signore ritorna, e chiede conto ai tre servi dei beni a suo tempo consegnati.

Poiché i primi due servitori si sono mostrati operosi, intraprendenti, capaci di rischiare, si sono impegnati affinché i doni ricevuti non fossero diminuiti, sprecati o inutilizzati, al momento di consegnare al padrone i talenti ricavati, ricevono entrambi da lui l’elogio: “Bene, servo buono e fedele, … entra nella gioia del tuo Signore”.

Il terzo servitore ha scelto di non correre rischi: ha messo al sicuro, sotto terra, il denaro ricevuto, e ora lo restituisce tale e quale. Così rende al padrone ciò che è suo: niente di più, niente di meno.

Il Signore, invece che lodare la prudenza del suo terzo servitore come lui probabilmente si aspettava, lo redarguisce aspramente, chiamandolo “servo inutile e pigro” e cacciandolo fuori nelle tenebre.

Due sono i fattori di questa Parabola dei Talenti che mi fanno riflettere:

Il primo è che questo servo non ha fatto del male, semplicemente non ha fatto nulla: si è rinchiuso in sé stesso e non ha neppure provato a migliorare la sua posizione, ritenendo con tutta probabilità il suo comportamento saggio e prudente. Si è trincerato dietro l’osservanza ligia al suo dovere, senza mai mettersi in gioco. In realtà la buca nel terreno in cui seppellisce il suo talento non è altro che la paura del rischio che blocca la creatività e lo fa rimanere all’interno della sua zona di comfort.

Il secondo è che ciascuno ha i suoi talenti, qualità con cui può e deve servire sé stesso e gli altri.

Non importa quanti talenti hai, ciò che importa è metterli in gioco.

Tutti possiedono almeno un talento, ma non tutti lo fanno fruttare! Molte persone non conoscono neppure il proprio talento, alcuni ritengono di non averne nessuno, ma ciò non è possibile: ciascuno di noi ha un talento, e imparare a conoscerlo e svilupparlo è dovere di ognuno di noi.

Il talento infatti non è solo quello che ti fa dipingere o comporre musica, o scrivere poesie… il talento è qualcosa di innato, un’inclinazione naturale,  il modo con cui il nostro cervello reagisce agli stimoli esterni per il raggiungimento di un risultato. Il talento è, in altre parole, l’espressione della nostra creatività, intesa come pensiero libero da costrizioni e condizionamenti esterni, fatto di idee e intuizioni.

Ciascuno di noi ha a disposizione un grande tesoro: sé stesso, una combinazione unica e irripetibile di cellule e energia, capace di creare qualcosa di nuovo e di bello, di pensare, agire, scegliere, amare.

La domanda da porsi davanti a questa storia è quindi: cosa sto facendo io del mio talento? Lo sto investendo o l’ho seppellito nella terra?

 

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